Un tuffo nel passato

Roberto Beccantini14 settembre 2014

Milano da bere, come negli ani Ottanta: 7-0 dell’Inter al Sassuolo, 5-4 del Milan a Parma. Gianni Brera avrebbe chiesto scusa ai lettori, prima di mettersi a picchiare sui tasti. E’ il calcio, bellezze. Tutto fa brodo (divertimento): anche gli errori, perfino le comiche, tipo il retropasticcio tra De Sciglio e Diego Lopez. Per questo, bando alle ciance.

Inter. Quindici zero, con il Sassuolo è sempre una pacchia: 7-0, 1-0, 7-0. Al di là del nulla isterico di Berardi e del niente molle di Zaza, spazzati via dai guerrieri di Mazzarri, comincia a prendere forma la dorsale Medel-Kovacic-Icardi. Medel è il lucchetto di casa Handanovic, come Desailly, con Capello, blindava il cortile di Baresi. Kovacic, a 20 anni, sta prendendo per mano la squadra. Puro talento. Icardi, classe 1993, vede la porta e con una spalla al fianco rende di più, Osvaldo o Palacio che sia.

Milan. Partita d’altri tempi, si suole dire in questi casi. Inzaghi non ha coppe, può bombardare di lavagne Milanello. Quando attacca, il Milan incanta: le girandole di Ménez e Honda, le volate di Abate e De Sciglio, i tagli di Bonaventura (gol al debutto). Era già successo con la Lazio, protagonista El Shaarawy. Piedi buoni e rapidità di pensiero. Quando difende, viceversa, sono cavoli amarissimi. Superficialità e lentezza di riflessi. Tutti problemi già emersi al cospetto di Candreva e c.

Ménez. E’ stato straordinario, ideale per il ruolo di falso nueve (perché Torres Gump, allora?). Una freccia, un gran dribbling. E già tre reti. Capocannoniere, come Icardi. Ha 27 anni, con Roma non si prese. Nel Paris Saint-Germain era la cornice, nel Milan è diventato il quadro. Occhio ai tuffi. Il secondo giallo a Felipe è frutto di una palese simulazione. E sul rigore, la spinta di Lucarelli (da rosso), ammesso che fosse tale da generare una simile caduta, era cominciata fuori area. Il peggiore in campo? Massa.

Tutti Allegri, anche Garcia

Roberto Beccantini13 settembre 2014

Garcia ha scelto il turnover, Allegri no: avrebbe potuto risparmiare Tevez, al massimo. Morale: 1-0 la Roma a Empoli, 2-0 la Juventus all’Udinese. La Champions, cinica ma non bara, ci aiuterà a capire se e cosa è cambiato rispetto a un anno fa, quando la Juventus di Conte s’impantanò a Istanbul mentre i romanisti bighellonavano a Trigoria.

Ecco: un’arma in più mi sembra il tiro di Nainggolan. Gol alla Fiorentina, gol-autogol (del portiere, Sepe) in Toscana. Una variante, in attesa di considerarla una costante. Da Gervinho-Totti-Iturbe a Florenzi-Destro-Ljajic: Garcia ha preso l’attacco e l’ha smontato. Allegri, bontà sua, ha fatto esattamente il contrario: da Tevez-Coman a Llorente-Tevez.

Senza Totti, e con Pjanic sbadigliante, la Roma ha badato al sodo. Quel tiratardi di Maicon avrebbe pouto segnarne non meno di due. La Juventus, viceversa, ha riservato a Stramaccioni un primo tempo «alla» Chievo. Mi è piaciuto Pereyra (per metà gara) e abbastanza Evra, al debutto. Troppo dolci sotto porta, i campioni. Buffon, a Verona, evitò la più perfida delle beffe. Il gol di Bubnjic era in fuorigioco di centimetri. Sarebbe stato un colpo basso alla trama, ma il calcio si ciba di quelle cose lì.

Di Natale e Muriel non pervenuti. Senza voto, Buffon. E più che dignitoso il contributo di Ogbonna, sul conto del quale, parafrasando l’impero di Carlo V, non tramonta mai il dubbio. Bella, la Roma del primo tempo con la Fiorentina. Belli, l’ho scritto, i primi tempi della Juventus. Confermando l’impianto lasciatogli dal neo ct, Allegri ha scelto la strada più intelligente, non solo o non tanto quella più facile o comoda.

L’Europa, adesso. Malmoe per la Juventus, Cska Mosca per la Roma: non saranno travi, ma non sono neppure pagliuzze. Occhio.

Dove starà Zaza

Roberto Beccantini9 settembre 2014

Non è il caso di scendere in piazza, o stappare champagne di nascosto. A Oslo, però, non si vinceva dal 1937, dai tempi di Meazza e Piola. Con l’Olanda la partita era durata dieci minuti. Con la Norvegia un’ora abbondante. I nordici sono crollati dopo il raddoppio di Bonucci, propiziato da un cross di Pasqual, appena entrato. Fortuna audaces iuvat: penso, anche, alla carambola sul sinistro spacca-equilibrio di Zaza.

Due a zero più due a zero: e questo, di Oslo, vale per gli Europei. Conte prende su e porta a casa. Lavori in corso, certo, e nulla di rivoluzionario sul piano del gioco: se mai, un calcio più verticale di quello caro a Prandelli. Però due cose: tra Bari e Oslo abbiamo concesso una sola palla-gol (a Van Persie) e mandato a rete tutti i reparti. L’attacco (Immobile, Zaza), il centrocampo (De Rossi, ancorché su rigore), la difesa (Bonucci).

Precipitati al 53° posto del ranking Fifa, i norvegesi non sono più i pivottoni d’antan. Non per niente, hanno perso undici delle ultime dodici gare. Ciò premesso, è stata un’Italia più di lotta che di governo, capace – e questo è un merito – di convivere con i propri limiti e di remare, tutta, nella stessa direzione: ai Mondiali, non sempre era successo.

L’intesa tra Immobile e Zaza cresce. Sono complementari, disturbano l’uscita dei difensori (anche se un po’ meno, questa volta), si cercano, sanno colpire. Zaza deve imparare a segnare i gol facili: é la banalità del «bene», a fissare il podio dei cannonieri. Conte, lui, deve aggiungere un tocco di fantasia alla manovra e lavorare sull’atteggiamento, ancora lontano dallo «sturm und drang» della sua prima Juventus.

Postilla. La Nazionale di Conte si è mangiata Olanda e Norvegia. L’Under di Di Biagio ha spolpato Serbia e Cipro, guadagnando i play off. Odo strani rumori attorno al carro «estinto». Vuoi vedere che il modellino italiano, sotto sotto…